Una borgo, mille storie
Adagiato sulle pendici dei Monti Sibillini, Sarnano è un affascinante borgo dell'entroterra marchigiano, in provincia di Macerata. Con i suoi circa 3.000 abitanti, il comune sorge in un territorio variegato che alterna colline coltivate, boschi, pascoli e rilievi montuosi, dominati da vette come il Pizzo di Meta e la Punta del Ragnolo. Da queste montagne nascono anche i principali corsi d’acqua della zona, come il Tennacola e il rio Terro, che arricchiscono il paesaggio e l’ecosistema locale. Il centro storico conserva ancora oggi l’impianto medievale del castrum, un borgo fortificato che si sviluppa in cerchi concentrici a partire dalla suggestiva Piazza Alta, scendendo lungo vicoli silenziosi e tra le case in mattoni fino alla base del colle. Inserito nel circuito dei Borghi più belli d’Italia e insignito della Bandiera Arancione, Sarnano unisce la bellezza architettonica alla forza evocativa del paesaggio, protetto dall’abbraccio dei Sibillini. La natura che circonda il borgo è straordinariamente ricca e diversificata, con altipiani carsici, gole rocciose, valli dirupate e dolci pendii che favoriscono la pratica di numerose attività outdoor. Il turismo, insieme al commercio, costituisce uno dei pilastri dell’economia locale, affiancato da un tessuto produttivo che mantiene una forte impronta rurale. Negli ultimi decenni si sono sviluppati anche comparti industriali (alimentare, abbigliamento, meccanica) e un solido settore terziario, caratterizzato da una rete di servizi qualificati.

Luoghi da non perdere

Giampereto
Immerso nel paesaggio appenninico di Sarnano, il piccolo borgo di Giampereto custodisce una storia millenaria. Il suo nome compare per la prima volta nel 977, nella forma di “Genepereto”, all’interno della più antica “carta” conosciuta che documenta i territori di questa zona. Un toponimo che ha suscitato nel tempo diverse interpretazioni, legate alla morfologia del territorio o alla presenza di ginepri, ma sempre con un riferimento forte alla natura e alla struttura agraria del paesaggio. Fin dal XII secolo, Giampereto era un insediamento abitato e organizzato: le famiglie che vi risiedevano giurarono fedeltà all’Abbazia di Sant’Anastasio, segno della sua precoce rilevanza nella rete monastica e territoriale dell’epoca. Non era solo un nucleo isolato, ma parte di un sistema più ampio di relazioni, contese e alleanze che hanno attraversato secoli di storia. Nel 1272 Giampereto viene ufficialmente menzionato come “villa”, cioè insediamento stabile con struttura sociale riconosciuta, in un atto fondamentale: la cessione dei territori da parte dei signori di Castelvecchio al comune di Sarnano. È un passaggio che segna l’integrazione dell’abitato all’interno del quadro comunale e testimonia l’evoluzione amministrativa di questi luoghi, da possedimenti feudali a entità civiche con diritti e statuti. Oggi, Giampereto conserva il fascino di un luogo appartato ma vivo di memoria, dove le tracce medievali si fondono con la quiete dei campi e dei boschi.

Borghetti
La contrada Borghetti, nella zona collinare che guarda verso il confine con San Ginesio, affonda le sue radici nella storia di una famiglia che vi stabilì residenza e influenza. L’origine del toponimo è infatti legata ai Burghitti, un casato attestato già nel 1424, anno in cui alcuni eredi di Massuccio Burghitti risultano proprietari di beni nella zona, all’epoca conosciuta anche con il nome di Crognaleto. Col tempo, il nome di famiglia ha finito per identificare anche l’abitato, che compare con maggiore frequenza nei documenti a partire dal XVI secolo. È da quel momento che l’insediamento prende forma più stabile e assume una sua riconoscibilità nella geografia rurale del territorio sarnanese. Nel corso dei secoli successivi, e già a partire dal Seicento, un’altra famiglia legata a questo luogo si distingue per rilievo sociale ed economico: quella degli Evangelista, che diventerà punto di riferimento per la “villa”, cioè insediamento stabile con struttura sociale riconosciuta, e l’area circostante. Borghetti oggi conserva il carattere silenzioso delle piccole contrade dell’entroterra marchigiano, dove storia e paesaggio si fondono in una dimensione discreta.

Abbazia di San Biagio di Piobbico
Testimone del passato architettonico e religioso di Sarnano, l’Abbazia di San Biagio, in origine nota come Santa Maria inter rivora, si staglia tra il fiume Tennacola e un piccolo torrente che scorre ai piedi di Piobbico. La nascita di questo complesso risale ad una donazione del Conte Mainardo a tre chierici all’inizio dell’XI secolo. Per essere più precisi, l’anno della sua effettiva fondazione ci viene ricordato da un notaio sarnanese che nel XVI secolo annotò 1030 come anno in cui “abbatie publicae fuit fondata”. Istituzione monastica che godette nel tempo di numerosi possedimenti territoriali a Sarnano ma anche a San Ginesio, Mogliano, Loro Piceno e Montolmo (ovvero Corridonia), nel XIII secolo vide perdere la sua autorità a dispetto della costante crescita delle aggregazioni comunali e, successivamente alla cessione di territori a Sarnano, ebbero modo di fondare nel castrum cittadino un edificio che la rappresentasse: la Chiesa di “Santa Maria intra moenia” (o di Piazza Alta). Col passare del tempo l’Abbazia cadde in disuso, conseguentemente al progressivo trasferimento dei monaci nella neonata chiesa cittadina e, successivamente alla modifica dell’intitolazione a San Biagio nel Quattrocento, per l’emanazione di due bolle da parte di papa Sisto V alla fine del XVI secolo, l’abbazia venne definitivamente soppressa e la proprietà accorpata al Capitolo di Montalto. A livello architettonico, la struttura monastica sorge presumibilmente su di una costruzione preromana, luogo di culto dedicato alla dea Feronia, dea Italica delle acque e della fertilità. L’odierna chiesa, orientata a est-ovest, presenta un’abside rettangolare con presbiterio rialzato che lascia spazio allo sviluppo di una cripta tripartita. La struttura originaria, però, risulta di diversa fattura, in quanto l’impianto originario presentava tre navate, con transetto e presbiterio e un annesso monastero organizzato attorno ad un chiostro. La struttura è stata costruita facendo largo uso della scaglia rossa, una pietra calcarea locale alla quale, nel tempo, è stato aggiunto anche il mattone. Lo stipite della porta d’ingresso riporta la seguente scritta “MI 17 AD K D APRILE” (1117 alle calende di aprile), a riferimento dell’anno in cui la chiesa venne marcatamente modificata, ovvero ridotta in profondità e privata del nartece. L’edificio, all’epoca riccamente decorato, conservava un ciclo pittorico chiamato Il Vangelo dell’infanzia, con l’Annunciazione, la Natività e l’Adorazione dei Magi, attribuito al cosiddetto Maestro di Piobbico, attivo tra il 1456 e il 1464. A lui si devono anche altri affreschi nella navata e nel presbiterio. L’Abbazia fu arricchita anche da altri pittori, legati alle scuole camerte e folignate, che contribuirono a creare un insieme decorativo armonioso e rappresentativo dell’arte appenninica tra Quattro e Cinquecento. Geolocalizzazione: https://maps.app.goo.gl/X3EP6i4Y3gMQFDtt5

Piazza Alta
Sulla sommità del centro storico la Piazza Alta si apre come una corte antica, racchiusa tra i palazzi che un tempo rappresentavano il potere: il Palazzo del Podestà, quello del Popolo con il suo piccolo teatro al piano nobile, il Palazzo dei Priori, e la chiesa romanica di Santa Maria. È il cuore originario del castrum medievale, il punto da cui Sarnano si è allargata a cerchi concentrici, scendendo fino alla base del colle. Basta fare pochi passi davanti al Palazzo del Popolo per scorgere un vero e proprio quadro naturale incorniciato dai muri della chiesa e della canonica: sullo sfondo si staglia l’orizzonte dei Monti Sibillini. È facile, da qui, lasciarsi suggestionare: basta uno sguardo per immaginare la Sibilla Appenninica scrutare la valle da lassù. Voltandosi, si riconosce tra i colli quello di Valcajano, dove sorgeva l’eremo di Roccabruna, citato ne “I Fioretti di San Francesco”. Ma non è ancora il momento di scendere. Accanto al Palazzo del Popolo, un piccolo passaggio vi conduce a una terrazza nascosta: la vista spazia dalle colline marchigiane. Vale la pena fermarsi. Per guardare, respirare e capire cosa significa davvero trovarsi in alto.

Eremo di Soffiano
Nel silenzio dei boschi sopra Sarnano, protetta dai fianchi rocciosi dei monti Pizzo Meta e Ragnolo, si nasconde la Grotta di Soffiano: un luogo dove la natura e la spiritualità sembrano parlarsi ancora sottovoce. L’Eremo è raggiungibile con una camminata breve e accessibile, meta di pellegrinaggi e camminate in ogni stagione. Le origini di Soffiano si perdono nel tempo. La prima traccia scritta risale al 1101, quando i figli del Conte Ismidone donarono queste terre a un piccolo gruppo di religiosi guidati da Prete Alberto. Da quel momento, il luogo divenne rifugio per chi cercava preghiera e raccoglimento. Più tardi, furono i Francescani a farne dimora: secondo la tradizione, anche San Francesco vi avrebbe sostato, in cammino nella natura. Inoltre, ne “I Fioretti di San Francesco” si racconta la storia di due frati, Beato Umile e Beato Pacifico, che vissero qui. Alla morte del primo, l’altro giurò di aver visto la sua anima elevarsi verso il cielo. Non è l’unica traccia di santità: tra queste pareti rocciose furono ritrovati anche i resti del Beato Liberato da Loro, della famiglia dei Brunforte, ritiratosi qui in solitudine. Ma Soffiano conserva anche un’anima più antica. Alcuni studiosi fanno risalire il suo nome a “Sub Jano”, in onore della divinità romana Giano, dio delle soglie e della luce. Altri pensano a Diana, o a “Jana”, le creature mitiche legate ai culti lunari. Ancora una volta i Sibillini si rivelano portatori di leggende stratificate nel tempo, fatte di dèi, santi ed eremiti.
